Ho saputo che stava scrivendo «qualcosa» quando mi ha letto il brano dal computer. «Senti se ti piace» mi fa e comincia a leggere: «E i pozzi eran quelli del fiume o, a volte, ce li costruivamo allargando un bónzo naturale, costruendo dighe per nuotarci dentro. Dicano poi: “ma come nuoti male!”. Nuoto male, figlio d’un cane? Te nuoti bene perché tuo babbo ti ha mandato a scuola di nuoto, noi ce la siamo cavata da soli, al terzo ripescaggio sbalotavi alla cagnolina e intanto stavi a galla…».
È stato a questo punto della lettura che mi sono rivisto con i piedi nel Reno. Lui li aveva nel Limentra. «È un romanzo?» gli avevo poi chiesto. Si era stretto nelle spalle. Il brano è tratto dal suo Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto. Titolo e sottotitolo molto belli. Li invidio. Sto scrivendo dell’amico e sodale di crimini e nefandezze letterarie, Francesco Guccini. Imparo sempre così, quando mi legge un brano, che sta lavorando in solitaria a un nuovo libro. Probabilmente meditato nei ritagli di tempo che gli lascia il nostro lavorare a un romanzo in comune. Con Cròniche epafàniche, (Feltrinelli, 1989), abbiamo conosciuto un Francesco Guccini che non era solamente il cant(aut)ore indimenticabile e indimenticato del nostro tempo. Lo ha confermato con Vacca d’un cane (Feltrinelli, 1994) e con Cittanòva blues (Mondadori, 2003). Con Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto, appena uscito da Giunti, è tornato al linguaggio dei suoi due primi romanzi.
«Come mai?» gli ho chiesto. «Quel linguaggio, quelle parole io li ho dentro, hanno riempito la mia vita e adesso premono per uscire.» Ha ripreso anche alcuni temi che gli stanno a cuore. Il finale dei due romanzi, Cittanòva blues e Tralummescuro, sono dedicati agli amici che se ne sono andati e agli amici che se ne andranno: Ma non c’è tristezza. Anzi, c’è l’ironia di chi sa come stanno le cose e non si lascia fóttere dalle apparenze. Da Cittanòva: «Tutto regolare, natura, stagioni, ciclo che va, ritorna e rianda, come una ruota che ha cominciato a girare tanto tempo fa e che ormai ha fatto tutto il giro, a trecentosessanta gradi, ed è finalmente tornata al punto di partenza. Stai e vivi in quest’attimo. Incipit Vita Nova. Ora c’è in cielo una nuvola color di rosa dentro la quale ti perdi e qui il tuo cuore s’arposa, come nel rimasuglio di un sogno forse rimasto impigliato, da sempre, da qualche parte della tua mente». Da Tralummescuro: «Mangiano, guardano un po’ di televisione, si addormentano sul divano e vanno a letto a dormire, aspettando quel lungo sonno che, bene o male, aspettano tutti i giorni, lassù, dove tutti andremo a dormire, lassù in Vignale, a raggiungere quelli che ci sono già, a fare due chiacchere con loro, tutti della stessa età, tutti giovani, belli, sani, a sentirsi dire “Oh, tò, sei rivato anche tè-e a giocare a bocce, a bere il fiasco, a guardare ‘gni tanta quaggiù di sotta”, e dire: “Pòri bischeri, noi il nostro l’abbiam già fatto, adesso son proprio fatti vostri”».
Come si evince dagli anni di stampa, Francesco ci pensa due e anche tre volte prima di mettersi a scrivere. Poi, nel 1995, nella sua calma di scrittore, sono piombato io. Grazie (o malauguratamente, dipende dalle opinioni) alla pazza idea di Antonio Franchini con l’ormai famosa frase: «Perché non lo scrivete assieme?». Al momento non ottenne risposta né da Francesco né dal sottoscritto. Non so perché Francesco non si sbilanciasse.
Posso spiegare il mio silenzio: scrivere assieme a un mito non è da tutti i giorni e molti interrogativi mi ballavano nella testa: ascolterà le mie idee; mi lascerà spazio; avrà rispetto della mia carriera letteraria e del mio passato; cosa penseranno i lettori… Insomma, una decisione che poteva incidere positivamente nel mio lavoro ma molto più in negativo. Qualche giorno dopo, al telefono, gli chiesi: «Cosa ne pensi?».
Aspettò qualche secondo prima di rispondere: «Possiamo provare». Abbiamo provato e nel 1997 è uscito Macaronì, in libreria ancora oggi, dopo non so quante ristampe. Come tutte le cose nate per caso, la coppia ha funzionato. Con il maresciallo Benedetto Santovito abbiamo raccontato come eravamo. Cioè i mutamenti sociali e ambientali del nostro Appennino dal 1938, vigilia della Seconda guerra mondiale, al 1970.
Con il forestale Marco Gherardini detto Poiana, l’Appennino disastrato dei nostri giorni. Poi, chissà perché, ci hanno tolto il forestale e nel romanzo che dovremmo cominciare a giorni torneremo al maresciallo Santovito. Con un prequel, come va di moda dire oggi. Qualcuno ha scritto che abbiamo inventato il noir appenninico. Non c’è un noir della valle, della pianura, della collina o della spiaggia. C’è il romanzo noir. Fino a oggi abbiamo scritto otto romanzi e non so quanti racconti. Nel 2020, quando, se tutto andrà come al solito, pubblicheremo il nostro nono romanzo, saranno venticinque gli anni che proviamo. Non sappiamo ancora se festeggeremo le nozze d’argento del nostro sodalizio. Dipenderà da Raffaella e da Franca. Ma torno a Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto: è l’ultimo «qualcosa» che Francesco ha scritto dopo il nostro Tempo da elfi che è di due anni fa. Nel frattempo io ho pubblicato Delitti senza castigo. La bellezza del nostro rapporto letterario sta
proprio in questo essere due scrittori in uno, senza rinunciare a essere l’uno. Voglio dire che nessuno di noi due ha cessato di essere lo scrittore autonomo che è sempre stato. Com’è possibile? Chiedetelo a Francesco. Magari dopo che avrete letto Tralummescuro in modo che possiate disporre di più elementi per giudicare la nostra meravigliosa esperienza. E magari vi chiederete: «Che ci sta a fare Francesco con Loriano?». E magari, ancora, chiedetevelo dopo aver letto anche il mio Delitti senza castigo. Per equità. Dopo che ho letto Tralummescuro ho richiesto a Francesco: «È un romanzo?». Non si è stretto nelle spalle e non ci ha pensato su. Ha detto: «Ho scritto storie che raccontano di una gente e di un luogo, quindi, sì, è un romanzo». A volte caro Franzesc, penso alla sera del 29 settembre 1995, in quel di Calderino, ristorante la Torretta, davanti ai piatti di Arturo: non immaginavo certo che, dopo 25 anni, mi sarei ritrovato in quel di Pàvana, caciosteria Ai due ponti, davanti ai piatti di Mimmo, a ragionar con te sul prossimo romanzo.
Articolo di Loriano Macchiavelli tratto da “Tuttolibri”, inserto de “La Stampa”, del 13 settembre 2019