Eloise Vitelli, classe 1949, oggi è leader dei democratici al Senato del Maine. Francesco Guccini, classe 1940, negli Anni 60 a Bologna era già un cantautore noto e amava giocare a carte nelle osterie; insegnava italiano al Dickinson College..
«Dopo le lezioni andavamo all’osteria, eravamo un bel gruppo, si parlava di politica, di musica e cultura. È stato in quei momenti che ho imparato a giocare a Tresette». Seduta su un divano del The Line di Washington, Eloise Vitelli, 74 anni, leader dei democratici al Senato del Maine, apre sorridendo il cassetto dei ricordi. È nella capitale per incontri politici, ha un meeting in programma con la vicepresidente Kamala Harris, ma in questo iconico hotel/caffetteria di Washington, nel cuore del popolare e multietnico quartiere di Adams Morgan, Eloise, «forse solo appena un po’ signora», riannoda i fili della memoria, estende lo sguardo sull’Italia e la Bologna del 1968, la vivacità e le tensioni politiche che l’hanno accolta studentessa dell’off campus bolognese del Dickinson College della Pennsylvania. C’è un nome che tiene il senso di tutto: Francesco Guccini, professore di lingua italiana fino verso la fine degli Anni Ottanta. Nella chiacchierata non lo pronuncia mai per intero, è solo Francesco. «La seguii in America», ha detto il cantautore di recente ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, «ma ero immaturo, ora non lo rifarei».
È vero?
«Francesco esagera».
Quindi non è vero che la seguì a casa sua al 100, Pennsylvania Avenue che dà titolo alla canzone?
«Venne a trovarmi, ci scrivevamo dopo il mio rientro dall’Italia e decise di attraversare l’Oceano. Rimase a casa nostra».
Non si trovò a suo agio, non ne ha fatto mistero. Perché?
«Non riuscì a creare un legame, a connettersi con gli Usa. Decise di tornare in Italia».
Com’era la sua famiglia?
«Impegnata politicamente. Mamma artista e femminista, mio fratello un attivista contro la guerra».
Valori progressisti, Guccini avrebbe dovuto sentirli suoi, perché non scoccò la scintilla, e sua madre, come canta lui, «odiò l’italiano istrione»?
«Non c’è un fatto, una cosa concreta. Francesco era già qualcuno, era importante, (anzi «quasi importante» dice lui nella canzone) una scommessa difficile da vincere comunque. Chissà. Ma per la mia famiglia lui era comunque un uomo che voleva portarmi via».
Cosa la attraeva?
«Non so cosa abbia acceso il mio interesse, credo sia quella cosa che definiamo chimica».
E lei ebbe mai voglia di andare via, di seguirlo?
«Io dubitavo, mi chiedevo cosa fare. Poi ho scelto la famiglia. Al termine dell’anno accademico in Italia mi ero fermata due mesi in più, volevo capire cosa fare».
Si riferisce alla storia con Guccini?
«No, più in generale, volevo scrutare il futuro. Una parte, comunque, la ebbe anche Francesco in questo».
Mai avuto ripensamenti, rimorsi?
«No».
Chi era Guccini quando lei arrivò a Bologna?
«Il professore che ci faceva conoscere la cultura italiana».
E il Tressette. Cito ancora la canzone: «Come il matto tra le carte da giocare può risolvere un attimo di crisi».
«Non solo il tressette, imparai anche altri giochi di cui non ricordo il nome».
Però era già famoso, aveva già scritto Dio è morto, Canzone per un’amica (In morte di S.F.), Auschwitz…
«Sì, era famoso, Francesco era il Bob Dylan della musica italiana. Per me stare con lui è stato un modo per immergermi nella cultura dell’Italia, conoscerne le origini. E abbiamo cominciato a uscire insieme».
Di cosa parlavate?
«Andavano in gruppo in una osteria (lo pronuncia perfettamente in italiano, nda), Francesco aveva sempre con sé la chitarra e suonava e cantava e si parlava di politica e cultura. Io sono arrivata in Italia nei giorni dei disordini nell’Est Europa mentre i carri armati sovietici entravano a Praga, la contestazione a Bologna era forte, si vivevano i contrasti politici».
È vero che è giunta in nave?
«Sì, sono sbarcata a Genova, ho fatto a ritroso il viaggio dei miei antenati».
Quando l’ha rivisto dopo l’addio al 100 di Pennsylvania Avenue?
«Nel 1985. Io e mio marito eravamo in Italia in visita in Toscana ai miei genitori, che in quel periodo stavano lì».
Cos’ha fatto? Ha preso il telefono e composto il numero, «ciao Francesco sono Eloise»?
«Tramite un collega. Ho chiesto a un professore della Dickinson di aiutarmi a rintracciare Francesco. Ci siamo rivisti».
Ha mantenuto i contatti?
«Ci sentiamo attraverso i docenti della c».
Guccini è in un gruppo WhatsApp?
«Ci teniamo in contatto con le e-mail. Due anni fa mi ha scritto una lettera. Il contesto è quello del gruppo della Dickinson, siamo diversi. E anche di recente ci siamo confrontati per la storia di una delle torri di Bologna pericolanti».
Quindi ha ancora contatti…
«Il Dickinson College ha creato una borsa di studio in onore di Francesco così che gli studenti americani possano continuare a studiare. Io sono una delle persone che ha contributo a formare questa scholarship. Per rispondere alla sua domanda: c’è un’estensione di quell’esperienza che ho vissuto a Bologna da studentessa di cui Francesco è ancora parte».
Sente la sua musica?
«Ho tutti i suoi dischi».
Articolo di Alberto Simoni tratto da “La Stampa” del 13 dicembre 2023