Metropolis
IL DISCO
Registrato nella primavera del 1981 presso l’Umbi Studio di Modena, Metropolis è il decimo album in studio album di Francesco Guccini.
Da Un altro giorno è andato, Francesco Guccini si racconta a Massimo Cotto (Firenze, Giunti Editore, 1999):
“Lo intitolai Metropolis perché parlava di città, ma non di città qualunque: Bisanzio, Venezia, Bologna, Milano, ovvero centri e metropoli con una storia e un'alta valenza simbolica”.
Con Francesco Guccini (voce e chitarra) hanno suonato in Metropolis: Tiziano Barbieri (basso), Juan Carlos «Flaco» Biondini, Paolo Gianolio, Marco «Jimmy» Villotti (chitarre), Enzo Felicitati (trombe), Giancarlo Ferri (violini), Andy J. Forest (armonica a bocca), Deborah Kooperman (banjo), Gian Piero Lucchini (flauti), Giovanni Pezzoli (batterie), Luciano Stella, Vince Tempera, Fio Zanotti (tastiere).
La produzione, la regia e la supervisione degli arrangiamenti collettivi sono stati curati da Pier Farri, mentre il coordinamento artistico da Renzo Fantini. Tecnici del suono: Maurizio Maggi e Franco Zorzi. Gli arrangiamenti dell'album sono curati da Ettore De Carolis.
L'album è stato distribuito da EMI in formato LP, Stereo8, MC e CD.
Gli spartiti di Metropolis sono stati pubblicati da Edizioni Musicali La Voce del Padrone.
CURIOSITA'
L’illustrazione di copertina è di Francesco Lomonaco.
Tutte le canzoni sono di Francesco Guccini ad eccezione di Venezia (Gian Piero Alloisio con alcune modifiche al testo di Francesco Guccini) e Milano (Poveri bimbi di) (Guccini - Alloisio - Guccini).
II brano Venezia non vede tra gli autori Bruno Biggi, che sarà accreditato solo nel CD Guccini Live Collection.
Venezia e Lager erano già state incise nel 1979 dall'Assemblea Musicale Teatrale, nell'album Il sogno di Alice.
Metropolis è l’ultimo album in cui collabora Pier Farri.
RECENSIONI
Dalla rivista "Adamo" del 1981:
Dopo circa tre anni di gestazione esce “Metropolis”, resoconto musicato di un ipotetico viaggio lungo un cordone (ombelicale) che da “Bologna” passa per “Antenor” in Sud America, e termina alla favolosa “Bisanzio”. Dunque un calderone di climi, di culture, di geografie, di uomini, il tutto rimestato dalla voce strascicata di Guccini e dal suo poetare in rima, un po' tra l’artigianale, l'avvinazzato e il letterario. “Bisanzio” è una città simbolo, un luogo di frontiera che spartisce fra di loro due epoche, due civiltà, due modi di pensare. È il luogo del dubbio, dove si è costretti a rivedere i propri valori, le proprie convinzioni. “Bologna”, invece, è la madre, la sicurezza, la tradizione. Una città un po’ sciatta con il suo provincialismo acuto, eppure cordiale e con velleità cosmopolite. Una città col cattivo gusto degli arricchiti «è una ricca signora che fa contadina», ma anche "capace d'amore, capace di morte, che sa quel che conta e quel che vale». Bologna è la nostalgia e il presente, è un amore a tempo pieno. “Venezia” invece è la decadenza, «un dolore al livello del mare», la morte lenta e ineluttabile. La canzone, atipico in Guccini, non è stata scritta da lui ma da Piero Aloisio, il leader della vecchia Assemblea Musicale Teatrale. Dal mar Mediterraneo un lungo salto in Sud America e si piomba ad “Antenor”, teatro di un rocambolesco romanzo fra gauchos nella pampa. Anche Antenor è simbolo, è la vita che gioca d'azzardo (e forse bara), eppure bisogna «giocare fino in fondo a tutti i costi». Una nota d'ottimismo? In “Lager” tutto si vede nero. Il lager non è soltanto quello storico del «nazi infame», ma la metropoli che ci opprime, ci aliena, costruendo vittime e kapò. Il discorso è un po' vecchio e forse retorico, ma innegabilmente giusto. Ma purtroppo non ci sono mai state civiltà di uomini totalmente felici, mentre Guccini sembrerebbe dire di sì (forse nel futuro, utopia?).
Dalla rivista “Boy” del 21 settembre 1981, un articolo di Roberto Denti:
Di “Bisanzio” e di “Antenòr” chi andava ai concerti sapeva già tutto, “Venezia” non è canzone sua (ma di Giampiero Alloisio, leader dell'Assemblea Musicale Teatrale) eppure anche stavolta Francesco Guccini ha fatto centro. Il suo ultimo Lp, Metropolis sta vendendo moltissimo, secondo un copione ormai noto da anni. Ma che disco è Metropolis? Affascinante, sin dalla copertina. Una mano regge una piccola città dentro una sfera di vetro e basta capovolgerla perché dal cielo cada su tetti, comignoli e viuzze una finta nevicata. Un po' come i souvenir in vendita nelle stazioni, tra le immancabili gondole e i carillon rivestiti di conchiglie laccate, ma anche un disco sofferto, intriso di angoscia esistenziale e malinconia. Ma qual è il filo sottile che lega fra loro le varie canzoni (o le varie città) del disco? Il filo di un viaggio attraverso il tempo e soprattutto alla ricerca dell'uomo, di un particolare che possa in qualche modo spiegare l'universale. La fiaba della vita. «Sono però sempre stato affascinato da alcune città», spiega Francesco Guccini, e da sempre le metropoli del suo cuore e della sua fantasia gli evocano fantasmi, visioni, paure. «La canzone che forse mi piace di più e che credo piaccia di più agli amici è “Bisanzio”. E voi vi chiederete il perché di una canzone su Bisanzio... Perché è una città magica che ha avuto ben tre nomi (Costantinopoli, Bisanzio e Istanbul), una città in cui la storia è passata a fiumi. Mi diverto a pensare cosa poteva essere e come poteva essere questa città. E starci, abitarci. Poi Bologna, Venezia, Milano: tre città diversissime fra loro. “Bologna” («una ricca signora che fu contadina, benessere, ville, gioielli e salami in vetrina... che valuta il giusto e la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita... ») è un ritratto della mia città, un ritratto affettuoso e anche un poco irriverente». Sempre meno bolognese, ormai Guccini vede le due toni da lontano. Preferisce la vita appartata, a Pavana, sull’Appennino, tra storiche partite a briscola e colossali bevute sino all'alba. Metropoli, addio... E nel disco traspare. Poi c'è “Venezia”, canzone non gucciniana. Ma è tanto bella che ho deciso di inciderla. “Venezia” l'ho sempre sentita così: una città che muore dando la vita. E canto la storia di Stefania che muore a Venezia nel dare alla luce un bimbo, un bimbo che le somiglia. “Milano” è invece la metropoli opprimente («poveri bimbi di Milano coi vestiti comprati all'Upim, abituati ad un cielo a buchi che vedete sempre più lontano»). “Black-out” è un fatto avvenuto a Pavana («Una ghiacciata bestiale fa rimanere al buio la zona - spiega Guccini - e per tutta la notte la gente vive come in un incubo da Medioevo»). “Antenòr” è un episodio tratto da un romanzo di gauchos, il Don Segundos Ombre («è la storia di un giovane costretto ad un duello e ad uccidere un vecchio. O non lo fa e perde così, secondo il codice della sua gente, la faccia, o uccide e dovrà eternamente scappare. E questa per me è spesso la vita: non avere possibilità di scampo, agire ma sapere sempre e comunque di sbagliare»). “Lager” è una canzone nata in risposta alle aberranti affermazioni di un accademico e storico di Francia secondo il quale i campi di sterminio non sarebbero mai esistiti («la dedico a tutti coloro che sono veramente convinti delle proprie idee e che sono pronti a cacciare tutti quelli che non la pensano come loro dentro un lager»). E il cerchio si chiude. Il lager è la stessa metropoli, «un posto», come spiega Guccini, «con tutta una vita normale che si svolge attorno e che nasconde le atrocità di cui si nutre. I lager e i fili spinati, insomma, sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Purtroppo. E ritorna alla mente, un Guccini di tanti anni fa, un Guccini che cantava la triste nenia di un bimbo passato per un camino, nel vento, con altri cento. “Auschwitz” era però, al contrario di Lager, una canzone... ottimista», ammette Guccini e di più non dice. Il futuro che ci attende non è certo dei migliori e “Metropolis” è solo l'inizio di un nuovo discorso. Profetico e malinconico, a tratti distaccato e a tratti rabbioso, sempre coerente e dolorosamente umano.
Da un’intervista di Piergiuseppe Caporale pubblicata sulla rivista “Music” del luglio-agosto del 1981:
Come esce fuori "Bisanzio" che potrebbe sembrare una canzone antica ed è invece una canzone quasi fantascientifica?
«La fantascienza è senz'altro uno dei nostri miti (io personalmente ne sono un divoratore): comunque quale migliore fantascienza se non prendersi questa misteriosa “Bisanzio” che ha retto vari secoli dopo il crollo dell'Impero Romano d'occidente, che ha continuato ad andare mentre noi eravamo tutti barbari...? E quelli continuavano tutti a fare le loro cose senza che noi ne sapessimo niente, se non per sentito dire. Quindi, il fascino del misterioso... che è già fantascienza. Poi il fascino non solo della terra in transizione, (di cui ho già parlato ne "la bambina portoghese"), e di questa cosa misteriosa che è trovarsi in un punto geograficamente fatale, ma anche dei momenti in cui una civiltà declina (come la nostra adesso), e ne arriva un'altra di cui non sappiamo e non possiamo sapere». […]
"Bologna" è una strana canzone: è dedicata ad una città che tutto sommato l'autore non sente sua. E' vero?
«Beh, che non sento più mia: dal '60 al '73 ,io mi sentivo bolognese. Adesso quando vado in centro mi sembra di non esserci mai stato: ho voluto fare un ritratto, uno schizzo, ed è venuta fuori Bologna "busona". Un'espressione, un colpo di genio che, purtroppo, non è mio, è di un mio amico. La canzone inizialmente diceva “mammana” che rimava con "puttana": mi un amico mi fece notare che "puttana" non era bolognese... a Bologna al massimo devi usare "busona"».
I TESTI - LATO A
I TESTI - LATO B