D’amore di morte e di altre sciocchezze
IL DISCO
Registrato e mixato presso Fonoprint di Bologna da Roberto Costa con l'assistenza di Roberto Barillari nell'autunno 1996, D'amore di morte e di altre sciocchezze è il diciassettesimo album di Francesco Guccini.
L'album è stato dedicato a "Victor" (Victor Sogliani, bassista del gruppo Equipe 84 con cui Guccini aveva suonato nel gruppo I Gatti) e a Bonvi (il noto fumettista, creatore di Sturmtruppen). Entrambi erano amici d'infanzia di Guccini ed entrambi sono prematuramente scomparsi poco prima dell'uscita del disco.
Con Francesco Guccini alla voce, hanno suonato nel disco: Ellade Bandini (batteria e percussioni), Juan Carlos «Flaco» Biondini (chitarre), Lele Chiodi (seconda voce in Canzone delle colombe e del fiore), Roberto Manuzzi (sax baritono, armonica e tastiere), Antonio Marangolo (sax tenore e sax soprano), Ares Tavolazzi (contrabbasso e basso), Vince Tempera (pianoforte e tastiere).
Il «Coro Stelutis» di Bologna ne Il caduto è diretto da Giorgio Vacchi.
Gli arrangiamenti sono collettivi, con la supervisione di Vince Tempera. Il disco è stato prodotto da Renzo Fantini.
L'edizione in vinile è stata tirata in 4.000 esemplari numerati.
L'album è stato distribuito in formato LP (in edizione limitata – tiratura 4.000 esemplari numerati), MC e CD.
Da D'amore di morte e di altre sciocchezze sono stati estratti tre singoli in edizione "Promo CD" per le radio: Lettera, Quattro Stracci e Cirano.
Gli spartiti di D’amore di morte e di altre sciocchezze sono stati pubblicati da Carisch.
CURIOSITA'
La foto di copertina è di Roberto Serra, mentre la grafica di copertina è stata curata da Raffaella Cavalieri. La grafica e impaginazione dell’album sono a cura di Giuseppe Spada.
La canzone I fichi risale al 1976 e fu eseguita in quell'anno da Guccini in televisione a Televacca, lo storico programma di Roberto Benigni.
Il suo testo non è riportato nel libretto dell'album.
RECENSIONI
Da “Famiglia Cristiana” del novembre 1996:
Di questa cosa che chiamano vita, come direbbe lui stesso, Francesco Guccini, è diventato, suo malgrado, esperto. A 56 anni dice di essersi reso conto di avere dietro le spalle più strada di quanta presumibilmente gliene rimane da compiere. E le sue canzoni, dunque, oggi più che mai esibiscono le cicatrici che il tempo provoca e aiuta a rimarginare. Sono, queste nove novità, come al solito piene di parole, molte delle quali comunque belle, classicamente belle. Solo lui, tra i nostri cantautori, scrive versi come "Ma nell'intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda, punge il rovaio di un dubbio eterno», oppure, "Ma guarda quante stelle sterminate: che senso avranno mai? Che senso abbiamo?». A qualcuno verrà in mente Giacomo Leopardi e il parallelo, per quanto strano possa sembrare, diventa di disco in disco sempre più inevitabile. Quando scrive canzoni, Guccini è ottocentesco, con tutti gli accenti e le rime alloro posto, romantico nell'espressione e nell'ispirazione (curiosamente, quando scrive romanzi si tuffa nel Novecento, ma questa è tutta un'altra storia). I temi sono quelli di sempre: lo scorrere doloroso del tempo, gli abbandoni, le domande eterne di chi vive la condizione umana, l'amore (questa volta un po' più delle altre). C'è anche l'invettiva, nascosta dietro una trasparente identificazione letteraria (Cirano) e anche questa non è una novità. Ci sono, però, a differenza che in passato, una consapevolezza della maturità, con tutto ciò che questo comporta, e un'amara considerazione di come utopie,sofferenze, sogni e amori non siano riusciti a rendere più accogliente il mondo. Guccini-Cirano, per la prima volta, butta con decisione lo sguardo avanti: "Dev'essercì, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto”. Questo, di tanta speranza, oggi gli resta.
Da “Musica” del 20 novembre 1996 di Giacomo Pellicciotti
"E’ proprio una bella stagione per la musica italiana d'autore: dopo i «pezzi pregiati» di Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Fabrizio De Andrè, Franco Battiato e altri campioni piccoli e grandi della nostra canzone di qualità, tocca ora a Francesco Guccini il montanaro di Pavana, sull'appennino pistoiese. S'intitola molto autobiograficamente “D'amore di morte e di altre sciocchezze, il diciassettesimo capitolo della discografia gucciniana. Una raccolta di nove canzoni ricche d'immagini e suggestioni letterario-filosofiche che mettono a nudo l'orsuto Francesco com'è oggi, a cinquantasei anni, con tutta l'esperienza e la disillusione di chi vive tempi difficili per tutti, ma forse ancora più duri per uno che ha avuto modo di conoscere altre utopie e speranze. E' un disco d'amore per le sue donne reali, un amore nuovo e uno che malinconicamente finisce, come nelle due canzoni contrapposte “Vorrei” e “Quattro stracci”. Una dedica agli amici morti troppo presto Victor Sogliani e Bonvi. E un'occasione più matura per disquisire di tanti altri argomenti, dalla contemplazione della volta celeste con i segni dell'oroscopo di Stelle alla «nuova Avvelenata» che è “Cirano”, passando per i ritmi sudamericani di “Canzone delle colombe e del fiore” e la storia del montanaro costretto a morire in pianura di “Il caduto”. Ma già nel brano iniziale “Lettera” c'è il riassunto di tutto l'album, che muta bruscamente tono dalla poesia contemplativa e bucolica d'ambiente all'amara scoperta dell'età che avanza e che non restituisce tutte le speranze coltivate in tanti anni. Ma parliamo con lui, Francesco. Anzitutto di questa singolare rimpatriata collettiva dei cantautori storici. E' solo una coincidenza? «Per me sì, non ce lo siamo certo detto prima Sono scattati semplicemente gli anni per fare un nuovo disco e l'ho fatto. Tre anni di silenzio sono abbastanza. E poi io faccio un disco quando sono pronto. Questo contiene le canzoni che ho scritto negli ultimi due anni. Adesso mi voglio purificare e penso che starò zitto per un bel po’». Con le canzoni, intende Guccini. «Certo, perché ho tante altre cose da fare, tra un concerto e l'altro del tour che inizia a dicembre e va avanti fino a primavera inoltrata. Basta guardare gli strati di libri e carte che si sono accumulati sulla mia scrivania. Dai due volumoni sulla cultura contadina in Toscana e il lavoro dei contadini, si capisce l'enorme mole di lavoro che sto accumulando per mettere insieme il vocabolario sul dialetto pavanese che uscirà l'anno prossimo. Lo leggeranno in pochi, ma io ci tengo molto perché è uno studio appassionato sulle nostre tradizioni popolari. Tradizioni che, senza stupide nostalgie, non meritano l'oblio totale». Che strano antidivo è Guccini: vive ancora nella mitica via Paolo Fabbri 43 con tanto di nome e cognome sul citofono, alla faccia degli inevitabili scocciatori, «Sì, ma ho un ottimo rapporto con la gente del quartiere, alla sera vado sempre a giocare e bere all'osteria sottocasa e poi, quando voglio, il centro è a soli venti minuti. Vivo in un quartiere molto popolare e sono integrato con l'ambiente. Ma quando posso, torno in montagna. Specie d'estate, nella casa o in canoa sul lago di tre chilometri, nuoto e me ne sto al sole. Anche li arrivano i pellegrini che mi riconoscono, ma pazienza». Tornando all'ultimo disco, ne è davvero contento Francesco Guccini?
In fondo dicono tutti così, ci mancherebbe altro. Sorride, ma risponde tutto d'un fiato: «Sono più soddisfatto dell'ultima volta, questo sì. Perché lo ritengo un album più completo, più vario». Però un album che parla anche di morte, non può essere un'opera felice o ottimista. «E' vero, ma ci sono sempre l’ironia e l’amore come uniche vie di salvezza. Credo che possano cambiare anche le situazioni più inamovibili. Sembra ossessionato dallo scorrere implacabile del tempo tra un capitolo e l'altro dell'album “D'amore di morte e di altre sciocchezze”. L'età è così pesante per lui? «A 56 anni, uno riflette che il tempo speso è più di quello che hai ancora da spendere. E poi il 1996 è stato un anno tremendo, se ne sono andati non solo Victor e Bonvi, ma tanti altri amici sui cinquant'anni. Allora ti viene da pensare: che succederà di tutti i libri che ho accumulato? O delle mie collezioni di fumetti? Cosa li tengo a fare? Ti prende un’inquietudine anche vivace, per fortuna senza angoscia, che ti fa andare avanti. Ma non è facile, anche se ti senti ancora un immaturo. Quanto tempo abbiamo buttato via. E ti domani: perché non ho mai imparato il sanscrito? Perché non so ancora suonare il pianoforte? Questa è la crisi dell'età, io credo». Scrive i libri al computer, mentre per le canzoni gli bastano un foglio e una matita. «Con i romanzi puoi essere anche barocco con le parole, ma con le canzoni faccio i disegnini, cancello, rifaccio, taglio, cambio frasi intere». Se usa il computer, vuol dire che ha un bel rapporto con l'informatica e le macchine tecnologiche. Risposta: «Giorni fa, volevo ascoltare il mio cd sul computer, ma proprio non ci riuscivo. Allora ho consultato il tecnico di fiducia, che è mia figlia di 18 anni. Mi ha guardato con tanta compassione, ha girato il disco dall'altro lato e, naturalmente, si è sentito perfettamente». Insieme a Battiato e a qualche altro, Guccini non ha partecipato alla riunione romana con l'onorevole Veltroni per mettere a punto una nuova legge sulla musica. Cosa ne pensa? «Erano troppi per poter concludere qualcosa. Ma basterebbe che abbassassero la quota dell'Iva sui dischi allo stesso livello dei libri. Perché i dischi non sono forse cultura? Lo dice uno che consuma soprattutto libri al posto dei dischi».
Da “Tv Sette” del 30 novembre 1996 di Mario Luzzatto Fegiz
Craxi è latitante a Hammamet, Andreotti sotto processo, i muri cadono, Internet dilaga. Ma lui, Francesco Guccini, è sempre lì. I suoi concerti, che si aprono immancabilmente con “Canzone per un'amica” e si chiudono con “La locomotiva”, registrano il tutto esaurito. E il successo di Guccini, nonostante la sua musica sia giudicata da taluni la quintessenza della noia e dell'inutilità, continua. Mirabile esempio di cesellata, se vogliamo anche pedante e retorica, poesia per canzone è il nuovo album “D'amore di morte e di altre sciocchezze”. Inutile sottolineare che se le altre sciocchezze sono come l'amore e la morte si tratta di un disco sui massimi problemi dell'esistenza. Lettera dà l'esatta dimensione della storia che si muove intorno al nostro quotidiano: la cucina che si anima all'ora di pranzo, il rumore dei televisori ... le rose fioriscono e sfioriscono sul terrazzo e un'altra stagione, struggente, è passata. Dietro questo Guccini così pensieroso c'è senza dubbio l'esser stato abbandonato dalla moglie (da oltre un anno il cantautore ha una nuova compagna). Che cosa sia successo esattamente non è affar nostro o vostro, ma c'è stata di certo molta sofferenza, il senso di una sconfitta e una revisione generale di tutto. Lo si desume dalla canzone “Quattro stracci” che offre versi come «Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza a invecchiare senza maturità, ma maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua semplicità...», Quasi una “Avvelenata” in chiave sentimentale. L'album è un capolavoro, pur nell'ipnotica monotonia della voce del cantautore, che offre canzoni come “Stelle” o “Canzone delle colombe e del fiore” una ballata, quest'ultima, ricca di polifonia e di rara suggestione.
I TESTI - LATO A
I TESTI - LATO B