Via Paolo Fabbri 43
IL DISCO
Registrato nel primo semestre del 1976 presso studi GRS di Milano, Via Paolo Fabbri 43 è il settimo album di Francesco Guccini.
E’ presente nella classifica dei cento dischi italiani più belli di sempre, stilata dalla rivista Rolling Stone, alla posizione numero 29, mentre nella classifica degli album più venduti del 1976 occupa la sesta posizione.
Via Paolo Fabbri 43, oltre ad essere il titolo di una canzone e dell'album, è anche l'indirizzo di quella che era l'abitazione di Guccini a Bologna alla data della pubblicazione del disco.
La terza traccia del Lato A del disco è L'avvelenata, una delle canzoni più note di Guccini. Si tratta di uno sfogo del cantautore in seguito ad una recensione del giovane critico Riccardo Bertoncelli sulla rivista Gong del gennaio 1975 al suo album Stanze di vita quotidiana.
Gli arrangiamenti del disco sono curati da Pier Farri su idee musicali di Franco Ceccarelli, Francesco Guccini, Giorgio Massini, Ares Tavolazzi, Vince Tempera, Maurizio Vandelli. Il tecnico del suono è Bruno Malasoma.
Hanno suonato con Francesco Guccini (voce e chitarra acustica): Ellade Bandini (batteria), Riccardo Grigolo e Alfredo Mancini (armonica a bocca), Deborah Kooperman (chitarra, banjo), Massimo Luca (chitarra classica), Giorgio Massini (chitarra elettrica, flauto dolce, dulcimer), Maurizio Preti (percussioni), Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso elettrico), Vince Tempera (tastiere), Maurizio Vandelli (chitarra, tastiere).
L'album è stato distribuito da EMI Italia in formato LP, Stereo8, MC e CD.
Edizioni Musicali La Voce del Padrone ha pubblicato gli spartiti di Via Paolo Fabbri 43
Nel settembre del 1976 è stato pubblicata dalla EMI un’edizione in 45 giri per Juke-Box de L’avvelenata (Etichetta: 3C 000 70075).
L’avvelenata compare sul lato A, mentre sul lato B è incisa Bottle of wine di Lennie McDonald.
CURIOSITA'
La celebre foto di copertina è di Roberta Bacillieri ed Ennio Antonangeli.
Nel 2006 i Folkabbestia hanno realizzato una reinterpretazione de L'avvelenata nel loro album 25-60-38. Breve saggio sulla canzone italiana.
Nel 2009 Luca Carboni ha realizzato una reinterpretazione de L'avvelenata nel suo album Musiche ribelli.
Anche J-Ax in un tour del 2002 ha interpretato una versione rap de L'avvelenata.
RECENSIONI
Da “Il Monello” del 6 settembre 1976 un articolo di Renzo Arbore:
Si tratta di un disco autobiografico, forse il più maturo del cantautore. Via Paolo Fabbri 43 è l'indirizzo di Francesco e dà lo spunto al cantante per iniziare discorso autobiografico che parte da quando rincasa alle prime ore dell'alba dopo aver vissuto la sua semplice e splendida vita di provincia e prosegue lungo la giornata con relative considerazioni sul mondo che lo circonda. Nelle altre composizioni Guccini dice il suo punto di vista, sempre originale e mai banale, sui critici di cui si diceva, sugli intellettuali finti, sugli amici parolai, sull'aborto e su altri problemi, piccoli e grossi. Tra le cose migliori mi sembra senz'altro da annoverare “Il pensionato” una canzone dedicata ad una categoria dimenticata da tutti perché poco ‘utile’, perché è quella che ‘consuma’ meno e che, suo malgrado, è quella ‘che meno incide sulla società’. Ed ecco: proprio per questo, venire fuori il Guccini amico solidale degli emarginati, il cantautore delle minoranze. Violenta la sua 'Avvelenata’ (questo è il titolo di un altro brano) contro i critici che pretendono che tutti la pensino come loro, contro i colleghi cantautori di cui dicevamo; Guccini conclude che va per la sua strada, forse con coraggio, forse con il menefreghismo di chi non si vuoi più perdere in discorsi fumosi da trattoria, gli stessi discorsi che hanno visto protagonista proprio lui. Insomma tra tanti album che ho ascoltato in questi ultimi tempi, quello di Dalla e questo di Guccini mi sembrano le uniche cose importanti e le uniche voci originali e «diverse» che ho sentito. Un po' meno entusiasta rimango per la parte musicale che rimane anche nel caso di Guccini quasi un pretesto per rivestire idee e concetti. Buoni però gli arrangiamenti a cui hanno collaborato alcuni nomi noti come Maurizio Vandelli e Vince Tempera.
Da “Novella 2000” del 10 settembre 1976:
‘Via Paolo Fabbri 43’, l'ultimo LP di Francesco Guccini in pochi giorni è entrato nelle classifiche dei dischi più venduti. Come se non bastasse continua a essere un «disco rosso», tipo di segnalazione che, nel linguaggio dei giornali specializzati, sta a indicare i dischi che hanno registrato un forte incremento nelle vendite durante l'ultima settimana. Il fatto più singolare è che Guccini è sempre stato considerato un autore per pochi, anti commerciale e difficile, insomma uno che non vende. «In un certo senso è vero» - spiega Guccini - «infatti non mi è mai capitato di entrare in classifica con tanta facilità. È anche vero però che sono sempre stati i vecchi discografici a considerarmi un cantautore per pochi, uno che scrive cose astruse e promozionalmente hanno agito di conseguenza. Qualcuno ha accusato Guccini di scriversi addosso, di soffermarsi troppo a lungo sulle sue faccende e sui suoi sentimenti. In realtà Francesco Guccini non è mai stato così perfetto e pieno di sferzante ironia come in questo ultimo disco. Da “Il pensionato”, un racconto amaro e commovente, a “Piccola storia ignobile”, che tratta il tema dell’aborto e offre una perfetta fusione di personale e politico. Le altre canzoni: “Via Paolo Fabbri 43”, “Canzone di Notte n. 2”, “L’Avvelenata”, “Canzone quasi d’amore”, formano un disco eccellente e confermano Guccini come uno degli artisti più intelligenti del mondo musicale italiano. […]
Francesco, questo è il tuo settimo LP e, dal cantautore d’élite com’eri considerato, ti ritrovi improvvisamente ad essere un cantautore commerciale. Come mai?
«Ho rosicchiato il successo lentamente, come un castoro. Ad ogni disco mi sono guadagnato una fetta di estimatori; così, quest’ultimo 33 giri era stato largamente prenotato ancora prima di uscire. Oggi un cantautore impegnato non è più ascoltato soltanto dai pochi intimi, ma provoca un fenomeno di massa giovanile. Il rischio è quello di essere scambiato per un divo e anche quello di ottenere un ascolto meno attento. D'altra parte era molto più rischioso essere un cantautore d'élite. Un tempo c'era gente che mi ascoltava soltanto per snobismo, perché facevo un genere diverso da quello consumato dalla massa e quindi ascoltare me voleva dire distinguersi, far parte di un ambiente particolare. Oggi per fortuna lo snobismo non è più di moda».
Dalla rivista Popster del 17 settembre 1978:
“Via Paolo Fabbri 43” è l'altra faccia delle “Stanze”: i temi sono gli stessi, Guccini è sempre lì a «viversi addosso», ma lo fa con un atteggiamento assai diverso, spesso supera i confini dello sfogo personale con una rabbia ed una vitalità che, pur restando nei limiti di un'autobiografia che esclude sempre di più possibilità di identificazione con chi canta da parte di chi ascolta. “L'Avvelenata” esibisce una calibrata crudezza di linguaggio, come si conviene ad un'autocritica ben fatta: «Io tutto, io niente, io stronzo ed io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista ...», mena colpi un po' dovunque, contro la cupezza ideologica ‘di sinistra’ («Voi personaggi austeri, militari severi, chiedo scusa a vossia, però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni...») e contro i ‘colleghi cantautori’, che fanno bene ad aver «le tasche piene non solo i coglioni», mentre i critici musicali «sparan cazzate». Dichiara disinteresse riguardo al successo dei suoi dischi: «vendere o no non passa tra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso» e informa il pubblico che affolla i suoi concerti che salire su un palco a cantare non è la sua massima aspirazione: «godo molto di più nell'ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare». Alla fine, in piedi circondato dalle macerie, resta solo lui: «ho tante cose ancor da raccontare per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto». E così sia. Il privato (o «personale») di tutto il disco è appena appena bilanciato da due momenti, se non strettamente «politici», almeno sociali: “Il pensionato” e “Piccola storia ignobile”; nella “Piccola storia” ritornano i ritratti di borghesi ottusi e benpensanti, chiusi nell'ipocrisia del perbenismo e dei luoghi comuni di fronte all'aborto: «Se tuo padre sapesse qual è stata la tua colpa, rimarrebbe sopraffatto dal dolore, uno che poteva dire «guardo tutti a testa alta» ... e a tua madre che, da madre, qualche cosa l'ha intuita, e sa leggere, da madre, ogni tuo sguardo, devi chiedere perdono, dire che ti sei pentita... e di lui non dire male, sei anche stata fortunata... si lo so, quando lo hai detto come si usa ti ha lasciata, ma ti ha trovato l'indirizzo e i soldi...». Ma si ritorna subito al privato, anche se, rispetto alle “Stanze”, c'è un compiacimento meno cupo e disperato nell'esibizione delle proprie frustrazioni, anzi in certi momenti c'è quasi il dubbio ai un'accettazione quieta di se stesso e dei propri malesseri: «Eppure fa piacere, a sera, andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie, e due canzoni fatte alla leggera, in cui gridando celi il desiderio che sia n presi sul serio il fatto che sei triste o che t'annoi, e tutti i dubbi tuoi». Il successo, anche commerciale del disco, va ricercato anche nell'indubbia onestà dell'operazione, che dichiara i suoi limiti fin dalle note di copertina:«Questo è il disco, con i miei soliti «tic», ed i miei temi, e le mie parole, che sono quelli che sono perché così sono io. Solo il modo di vedere queste cose è, a volte, diverso».
I TESTI - LATO A
I TESTI - LATO B