Stanze di vita quotidiana
IL DISCO
Registrato agli studi Fonorama di Milano, Sonic e Ortophonic di Roma tra l'autunno del 1973 e la primavera 1974, Stanze di vita quotidiana è il sesto album di Francesco Guccini.
Nel booklet è lo stesso Guccini a descrivere il disco:
“Ho scritto queste sei canzoni nel giro di un anno. La prima, "Canzone delle osterie di fuori porta" è del settembre del ’72. "Canzone delle situazioni differenti" è dell’agosto del ’73. Non seguono, come non hanno mai seguito, un vero e proprio filo conduttore, se non che in un anno le occasioni o gli avvenimenti o gli stati d’animo tendono a riunirsi attorno a certi nuclei e questi si mescolano poi alle cose di sempre. E così escono le canzoni. E sono come tante strofe poetiche, ma soprattutto stanze non 'stanze', intese come camere, o cassetti, in cui riporre, per meglio esaminarle, le cose successe e i pensieri avuti. Non che questi o queste debbano avere un’importanza tale che valga veramente la pena ricordarle. Ma può fare piacere raccontarle e a qualcuno può far piacere ascoltarle. Tutto qui. La canzone è il fatto di un momento, che serve per altri momenti. Non ci sono né trascendenze, né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare ugualmente con molta serietà come ancora spero o mi illudo di fare".
Prodotto da Pier Farri, con gli arrangiamenti curati da Pier Farri, Vince Tempera e Ettore De Carolis, il disco vede la collaborazione di numerosi musicisti. Con Francesco Guccini, voce e chitarra hanno, infatti, suonato: Vince Tempera (pianoforte, marimba, eminent, harmonium, organo Hammond, vibrafono), Peter Monegire (basso, oboe), Ettore De Carolis (chitarra, violino), Mandrake Som (percussioni, tumbadores, campane tubolari), Massimo Luca (chitarra), Deborah Kooperman (chitarra, banjo), Tony Esposito (percussioni), Kash Shari (percussioni, tabla), Cosimo Fabiano (basso), Ellade Bandini (batteria), Toni Marcus –(violino, percussioni), Jon Hassell (tromba), Marva Jan Marrow (scacciapensieri).
L'album è stato distribuito da EMI Italiana in formato LP, Stereo8, MC e CD.
Di Stanze di vita quotidiana sono disponibili gli spartiti pubblicati, insieme a quelli di Opera Buffa, da Edizioni Musicali La Voce del Padrone.
CURIOSITA'
La copertina di Bruno Fedetto, mentre la foto del retro di copertina è di Roberta Baccilieri.
Canzone per Piero è dedicata a Piero Melandri, amico d’infanzia di Francesco fin dai tempi delle vacanze estive a Pavana.
Nella copertina, Marva Jan Marrow è citata con il solo nome (Marva), mentre il vero nome del percussionista brasiliano Mandrake Som è Ivanir Do Nascimento ed è il cugino del celebre calciatore Pelé.
RECENSIONI
Da “Gong” del gennaio 1975, la ‘celebre’ recensione di Riccardo Bertoncelli del disco “Stanze di vita quotidiana”. Da questo articolo è nata L’avvelenata:
"Non intendo discutere le scelte di vita del Francesco. Vino + intimismo + lezioni d'italiano + vita provinciale è una somma che non comprendo nel momento stesso in cui non è la mia: e il raccontare che “stare a letto il giorno dopo è forse l'unica mia meta”, come insegna “Canzone delle Osterie di fuori porta”, non mi fa nemmeno rabbia, tanto è personale e piena di pudori l'occhiata all'esistenza che ognuno di noi deve dare. Quello che intendo dire è che non capisco perché Guccini continui a far canzoni: dato che i primi tre album erano il fischio ingenuo a speranze e illusioni di un '67-'68 effimero come i propri vent'anni e “Radici” era l'amarcord inevitabile che getta fuori ciò che è rimasto e poi più niente, perché lasciarsi irretire da una ruota come quella del bisogno discografico che rende impossibile l'abbandono del Francesco-Guccini-trentamila-copie-per-LP?" "Buona parte della tristezza sciorinata lungo queste Stanze (tristezza feroce, impietosa, senza deroghe o pentimenti) credo vada a parare all'angolo del ruolo che l'uomo sa di avere assunto oggi come oggi; la poesia è un pezzo di carta da consegnare al pubblico e non mai un esercizio di rabbia/purificazione intima, la musica è una vecchia stampa con cui tappezzare il salotto dell'acquirente e meno che mai la scintilla individuale del “mi piace” o dell'“io la penso così”. Francesco Guccini non appartiene più a se stesso: e finisce col ripetersi, regalando una “pianta topografica” della propria anima tanto diffusa quanto vana. I suoi testi sono senza magia, nudi, freddi, con piccoli rami sfrondati dall'albero francese o dall'America anni Trenta-Cinquanta, che già sappiamo sino all'ebbrezza: noiosi, addirittura, e si perdoni la cattiveria di un uomo-ex ragazzo alle prese con gli stessi problemi di crescita del Francesco e con i medesimi sbalzi d'umore letterario che qui suggeriscono “Canzone della vita quotidiana” o “Canzone delle ragazze che se ne vanno” - magniloquenza dal cuore fragile, come già la “Canzone dei dodici mesi” su “Radici” insegnava a sufficienza. Insomma, “vanità delle vanità”, bombe non esplose, morti nel cuore e morti nel fisico, impotenza e paura del domani, il “son sempre qui a scrivermi addosso, ho dai miei giorni quanto basta” che equivale all'“io son sempre lo stesso, sempre diverso” che compendiava la tenera “Piccola città” un po' di tempo addietro. Per chi sgranare un rosario assolutamente senza novità? Questo senza malizia, “con amore”, come dicevamo sulle rive dell'Amstel 1968 che Francesco, “i blue jeans vecchi e le poche lire”, certo conosce, mentre un po' di malvagità la voglio sparare su Vince Tempera, che distrugge la già traballante musica con un arrangiamento dai mille strumenti, tanto ambizioso quanto stridente con i testi che scivolano sotto. Meno male che era scritta con amore, sennò sai che botti."
Dalla rivista “Nuovo Sound” del 13 gennaio 1975, un articolo di Fabrizio Ghisellini:
Ma non pare, o almeno non a tutti, che “Stanze di vita quotidiana” sia un album ironico: sembra piu una drammatica presa di coscienza. “L’ironia c’è – sostiene Francesco – anzi, direi abbastanza esplicita, soprattutto nelle ultime due canzoni. Una, “Canzone delle ragazze che se ne vanno”, è anche bonaria, se vogliamo. […] La “Canzone delle situazioni differenti” è quella dal testo più oscuro e intimista. “Si compone, in pratica, di due canzoni e una riflessione. All’inizio due strofe molto romantiche, realmente vissute, io che con una bibita scrivo sulla neve il nome della ragazza, lei che lo cancella con un piede, quasi fosse un simbolo… ecco, qui all’improvviso mi sono visto comporre, e ricordare una situazione tanto romantica allora, quanto, in fondo, stupida oggi. Ne ho compreso l’assurdità: di qui la riflessione su me stesso, la “scatola meccanica per musica è esaurita”; di qui il grido irrazionale: “Rivoluzione cambia qualche cosa”, di qui infine, la chiara ironia che svolge la seconda storia della canzone, storia oltremodo borghese che si concluderà, davvero, come una commedia musicale americana…”.
Siamo in casa di Pier Farri, arrangiatore degli ultimi quattro albums di Francesco, nonché suo graditissimo amico. Il Pier, pressochè silenzioso fino a questo punto, irrompe nel discorso con me: “E la funzione liberatoria della musica?”, che mi lascia un tantino interdetto. “Sì, molti non hanno capito come le musiche dell’album non svolgano le funzioni di una semplice didascalia, bensì quelle di una vera e propria ‘colonna sonora’ del testo. Mi spiego meglio. Le armonie possono integrare le parole anche per contrasto; come inserire una grassa risata sul primo piano muto di una persona che piange, La musica diventa così possibilità di arricchimento e non più banale commento. Questa funzione in “Stanze” viene assolta sia dalle ritmiche che dagli arrangiamenti, laboriosissimi. La forza del dubbio, insomma: i testi espliciti, la melodia inserisce un ‘forse’, la possibilità, se vogliamo che sia infine … tutto uno scherzo”. Ma questi arrangiamenti così esuberanti, non rischiano anche di soffocare la poetica del testo? Pier Farri: “Innanzitutto, una considerazione pratica: l’album contiene sei canzoni, le più lunghe che Francesco abbia mai composto. Qui non parliamo di “Radici” dove i pezzi non raggiungevano i cinque minuti. Siamo su tempi da operetta, veramente: era gioco-forza quindi inserire nuove possibilità strumentali, a formare quasi un drappeggio, un vestito dai colori sgargianti per le parole”. “ora – interviene Guccini – abbiamo a disposizione mezzi tecnici che ai tempi di “Folk Beat N.1” non immaginavamo nemmeno esistessero; “Stanze di vita quotidiana” è un album in cui non esiste una sola nota irrazionale, in cui la musica, se appena sentita profondamente, può aiutare l’ascoltatore a comprendere anche ciò che il testo, esplicitamente, non dice. Guarda, un esempio: nella “Canzone della vita quotidiana” laddove parlo di amori squallidi, frettolosi, entra in ballo l’organo; e lo fa proprio per meglio riferirsi alle posizioni della Chiesa cattolica”. Stupefacente penso, ormai convinto dalla generosa fiumana di parole a nome di Francesco. “Il prossimo album, se ci sarà, potrà anche essere semplicissimo: ma sarà una scelta, non più una forzata rinuncia. Cioè, ora sì, posso permettermi di essere semplice, non prima. Ho pronte due canzoni, non lo so se ce ne saranno altre e in fondo non mi interessa saperlo. Una è la “Canzone di notte rivisitata” che già ti ho citato, l’altra … beh, forse “Stanze” ha lasciato una traccia, o un germe, per me abbastanza insolito. La solitudine, argomento già sfruttato da altri, sì; non ho mai preteso di essere originale, solo coerente con me stesso … ricordi “la locomotiva”, la storia anarchica in “Radici”? me l’ha raccontata il vecchietto che, a Bologna, occupa l’appartamento di fronte al mio. Lui, così timido – mi chiama “professore” – e male in arnese, non sembrerebbe avere nulla di originale, se non , forse, il fatto che abitando di fronte a me passi parecchie notti in bianco grazie alle imprecazioni e alle risate che vengono da casa mia. Invece io sono stato colpito da un fatto, da una cosa che tiene in cucina appesa al muro: una busta, chiusa, con su scritto: “Per quando muoio”. Ed io voglio comporre una canzone per quella busta, per immaginare cosa ci sia dentro e dietro quella solitudine”.
Dalla rivista “Sogno” del 19 novembre 1976:
Con “Stanze di vita quotidiana” arriva il primo successo personale. Guccini è scoperto dai giovani attenti: questo 33 giri pieno di dolore, di rinuncia, di angoscia piace molto. Guccini si scopre vinto e risorge, si scopre giovane e poi vecchio, si scopre uomo e poi nulla. E scopre tutti noi. Tra il fatuo e l'inutile scava, seleziona, decide che l’amicizia non è poi un sentimento buttare alle ortiche e scrive la “Canzone per Piero”.
I TESTI - LATO A
I TESTI - LATO B